"ENKIDU"
di DAMIANO LEONE
EDIZIONI LEUCOTEA
(recensione a cura di Lucia Guglielmini)
Tah-Math o Enkidu, “figlio della Terra”, è un uomo dalla natura
selvaggia ritratto alla stregua di un semidio in questa storia romanzata che
trae la sua origine da un passo del più antico poema epico ad oggi conosciuto: l’Epopea di Gilgamesh, dove la figura di Enkidu
viene notevolmente ridimensionata rispetto a quella del grande re Gilgamesh, ma
che con questo romanzo trova il degno rilievo che una simile caratura di tratti
merita. In primo piano la storia di una forte amicizia, un sentimento intenso
quanto un’ardente storia d’amore che coinvolge due uomini, due eroi agli
antipodi, così diversi e allo stesso tempo inseparabili come due facce di una
stessa medaglia: Enkidu e Gilgamesh, dalla natura incorruttibilmente libera e ferina
il primo e capace di ogni bassezza tipicamente umana il secondo. Ma questa è
soprattutto la storia di una virtù fatta carne, la scrittura di Leone trabocca infatti
dei più nobili insegnamenti già dall’incipit, quando Enkidu, ancora Tah-Math per
la sua tribù d’origine, si allontana da questa per via del nuovo potere costituito
e deciso a non avere più contatti con altri esseri umani sceglie di vivere allo
stato brado nella natura selvaggia e incorrotta. E allora cammina tanto da
attraversare le montagne del Caucaso, fino ad approdare nelle pianure di Sumer,
dove notato e temuto per le straordinarie doti fisiche, viene riportato
gradualmente alla civiltà grazie all’amore di Shamkhat, in un crescendo di
emozioni sempre più intime e delicate da portare la donna ad abbandonare il suo
ruolo di prostituta sacra presso il tempio per dedicarsi alla scrittura e
allevare il frutto del loro amore. E finalmente l’incontro/scontro con
Gilgamesh con le conseguenti peripezie da cui il sovrano trarrà ogni volta
motivo di crescita interiore, fino ad abbandonare la veste da despota per
indossare quella da statista saggio e rispettato per la grande levatura morale.
Ma un simile eroe è per sua natura un’eccezione, persino per la civiltà che lo
ha accolto e che fino alla fine ha recepito con difficoltà quella sua immutata
natura inquieta e libera da condizionamenti. Così ancor prima di librarsi nel
sogno custodito gelosamente, Enkidu “figlio della Terra”, definitivamente
vittima delle trame umane, ad essa ritorna, lasciando alle scritture dei poeti
la narrazione delle sue epiche gesta.
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