mercoledì 29 gennaio 2014

"Enkidu" di Damiano Leone (Libri recensiti 2014/4)

"ENKIDU"
di DAMIANO LEONE
EDIZIONI LEUCOTEA
(recensione a cura di Lucia Guglielmini)

Tah-Math o Enkidu, “figlio della Terra”, è un uomo dalla natura selvaggia ritratto alla stregua di un semidio in questa storia romanzata che trae la sua origine da un passo del più antico poema epico ad oggi conosciuto: l’Epopea di Gilgamesh, dove la figura di Enkidu viene notevolmente ridimensionata rispetto a quella del grande re Gilgamesh, ma che con questo romanzo trova il degno rilievo che una simile caratura di tratti merita. In primo piano la storia di una forte amicizia, un sentimento intenso quanto un’ardente storia d’amore che coinvolge due uomini, due eroi agli antipodi, così diversi e allo stesso tempo inseparabili come due facce di una stessa medaglia: Enkidu e Gilgamesh, dalla natura incorruttibilmente libera e ferina il primo e capace di ogni bassezza tipicamente umana il secondo. Ma questa è soprattutto la storia di una virtù fatta carne, la scrittura di Leone trabocca infatti dei più nobili insegnamenti già dall’incipit, quando Enkidu, ancora Tah-Math per la sua tribù d’origine, si allontana da questa per via del nuovo potere costituito e deciso a non avere più contatti con altri esseri umani sceglie di vivere allo stato brado nella natura selvaggia e incorrotta. E allora cammina tanto da attraversare le montagne del Caucaso, fino ad approdare nelle pianure di Sumer, dove notato e temuto per le straordinarie doti fisiche, viene riportato gradualmente alla civiltà grazie all’amore di Shamkhat, in un crescendo di emozioni sempre più intime e delicate da portare la donna ad abbandonare il suo ruolo di prostituta sacra presso il tempio per dedicarsi alla scrittura e allevare il frutto del loro amore. E finalmente l’incontro/scontro con Gilgamesh con le conseguenti peripezie da cui il sovrano trarrà ogni volta motivo di crescita interiore, fino ad abbandonare la veste da despota per indossare quella da statista saggio e rispettato per la grande levatura morale.
Ma un simile eroe è per sua natura un’eccezione, persino per la civiltà che lo ha accolto e che fino alla fine ha recepito con difficoltà quella sua immutata natura inquieta e libera da condizionamenti. Così ancor prima di librarsi nel sogno custodito gelosamente, Enkidu “figlio della Terra”, definitivamente vittima delle trame umane, ad essa ritorna, lasciando alle scritture dei poeti la narrazione delle sue epiche gesta.

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