DI LUIS SEPÙLVEDA
GUANDA
(recensione a cura di Costantino Rabiolo)
Nove
racconti per descrivere un’epopea durata una giovinezza. Il racconto di una
generazione idealista e sognatrice, ricca di sentimenti e passioni voraci,
ideali professati con rigore e passione, una immensa voglia di vivere il
presente e di costruire un futuro. Una gioventù comunista/socialista quella
cilena e sudamericana in generale, che a cavallo tra gli anni 60 e i 70 crede
nella possibilità della realizzazione di quegli ideali grazie a quel sogno
portato avanti e personificati da mitici guerriglieri o da politici
appassionati.
Conoscendo
la vita di Sepúlveda, risulta difficile non immaginarselo ragazzo nei panni dei
diversi protagonisti di questi racconti, e chissà quanti di questi racconti non
abbiano radici autobiografiche. Come non dare i suoi occhi al peruviano che pur
di tornare a Mosca si traveste da contadino uzbeko muto. Come non dare il suo
volto al rivoluzionario socialista che trasforma una rapina in banca in un
esproprio proletario intrattenendo i suoi ostaggi con chitarra e capello biondo
platino. Come non immaginarselo tra quel Gruppo di Amici Personali del
Presidente Companero Allende, mentre rincorre per le strade di Santiago il
condor regalato al Líder Máximo a bordo di una Fiat 125. Come non rivederlo nel
travagliato Camilo che dopo aver trovato rifugio, lavoro e famiglia in Svezia,
decide di lasciar tutto per andare ad aiutare i ribelli sandinisti in
Nicaragua, perché “lo deve alla sua terra”.
Lo scrittore
cileno ci offre tramite questo romanzo in storie la sua gioventù e quella di un
continente, quello sudamericano, ricca di passione e sogni che vide naufragare
nel sangue dei diversi regimi dittatoriali che si instaurarono da lì a breve.
Ma nonostante questo rimase quella generazione che condivise “il bel sogno di
essere giovani senza chiedere il permesso”.
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